Il 20 ottobre si è celebrata la giornata mondiale dell’osteoporosi, conosciuta anche come “ladra silenziosa” poiché agisce silente, rubando progressivamente massa ossea fino a rendere l’osso estremamente fragile. Capita spesso che la si scopra solo in occasione di una frattura, cioè quando la patologia è già piuttosto evoluta. A esserne interessata è soprattutto la popolazione femminile, dopo la menopausa (la carenza di estrogeni condiziona in modo negativo il rimodellamento dell’osso). Una donna su tre e un uomo su cinque oltre i 50 anni vanno incontro una frattura correlata all’osteoporosi. Circa 200 milioni sono le persone colpite, con il risultato di una frattura ogni tre secondi. In Italia oltre mezzo milione di casi l’anno, attualmente nel nostro Paese in 4 milioni convivono con l’osteoporosi e sono stati circa 560mila i nuovi casi di fratture nel 2017. Fondamentale diventa la prevenzione, che secondo un report di Firmo (Fondazione italiana ricerca sulle malattie dell’osso) e Iof (International Osteoporosis Foundation) è stata trascurata, nonostante i costi a carico del sistema sanitario (9,4 miliardi), destinati a raggiungere gli 11,9 miliardi entro il 2030. Come misure di prevenzione, Iof esorta a conoscere i fattori di rischio dell’osteoporosi. La fragilità ossea dovuta alla perdita di minerali è un fenomeno comune che si verifica con l’avanzare dell’età, ma quando questo avviene in modo consistente si parla di osteoporosi. Il problema è che spesso l’indebolimento delle ossa va di pari passo con un aumento delle cadute: secondo l’Oms, circa un terzo delle persone over 65 cade ogni anno. La conseguenza è che solo di fratture al femore, in Italia, se ne contano 1,5 milioni dal 2000 ad oggi, per un totale di 18 miliardi di euro di costi tra ricoveri, interventi e riabilitazione, secondo una ricerca pubblicata su Archives of Osteoporosis, coordinata dal professor Umberto Tarantino dell’Università di Roma Tor Vergata. Una fotografia allarmante se si pensa agli esiti: 400.000 decessi post-frattura e 200.000 casi di invalidità permanente.

La diagnosi di osteoporosi si basa sulla Moc, un esame che permette di calcolare la densità minerale ossea. Esame che viene solitamente consigliato alle donne in piena menopausa, ma più che una questione di età è una questione di fattori di rischio.

Molti sono in realtà i fattori di rischio: una familiarità per una frattura, in particolare del femore (se la mamma si è fratturata un femore, la figlia ha più del doppio delle probabilità di andare incontro al medesimo evento); una menopausa precoce (prima dei 45 anni); squilibri ormonali;  il fumo; la vita sedentaria; una dieta squilibrata con ridotto apporto di calcio e di vitamina D; anche determinati farmaci (cortisone, eparina, ormoni tiroidei, alcuni diuretici) e alcune patologie (malattie reumatiche ed endocrine, diabete, mal assorbimento intestinale ed altre) possono avere un impatto negativo sulla salute dello scheletro. Prevenire l’osteoporosi è possibile eliminando in primo luogo tutti quei fattori di rischio che sono modificabili: evitare il fumo, praticare una regolare attività fisica, seguire un’alimentazione equilibrata e con un adeguato apporto di calcio. Effettuare un test del DNA predittivo che consenta di individuare il giusto apporto personale di vitamina D in base al proprio corredo genetico. Negli ultimi anni sono stati condotti  studi volti a identificare e caratterizzare le componenti genetiche di tale malattia. Il picco di massa ossea che si osserva tra i 20 e 30 anni di età è determinato in gran parte da fattori genetici come pure la velocità con cui si riduce la massa ossea in seguito alla menopausa o all’invecchiamento. I fattori genetici giocano un ruolo importante nella patogenesi dell’osteoporosi e sono rappresentati dal pool di geni che regolano l’espressione dei caratteri legati allo sviluppo della patologia (massa e microarchitettura ossea). Infatti, nonostante siano evidenti diverse influenze ambientali su determinazione e mantenimento della densità minerale ossea (BMD), studi su gemelli e famiglie osteoporotiche indicano che il contributo genetico alla patogenesi dell’osteoporosi è responsabile del 75-85% della variabilità interindividuale della BMD. La caratterizzazione dei marcatori genetici legati all’ereditarietà di una bassa densità minerale ossea potrebbe permettere di identificare precocemente gli individui suscettibili a sviluppare osteoporosi. In questo modo si potrebbe attivare una prevenzione mirata con terapie specifiche e modifiche allo stile di vita, tali da ridurre al massimo il rischio ambientale negli individui geneticamente predisposti a sviluppare la malattia. In tal senso un contributo importante può essere rappresentato dai test del DNA predittivi o di suscettibilità.

E’ fondamentale agire in tempo utile poiché se i valori densitometrici sono già compromessi, una volta diagnosticata la osteoporosi, la sola assunzione di vitamina D non è in grado di modificare in maniera sostanziale le probabilità di andare incontro a una frattura da fragilità. In questi casi va impostato un trattamento con farmaci adeguati che in ogni caso non aiutano la neoformazione dell’osso, ma solitamente tendono a ridurre il riassorbimento. Non chiamiamola solo prevenzione, ma cura.

Fonte: ReportEU6

Link: http://share.iofbonehealth.org/EU-6-Material/Reports/IOF%20Report_ITALY_DIGITAL_IT.pdf