Il sangue del cordone ombelicale, considerato una ricca fonte di cellule staminali ematopoietiche e mesenchimali, oggi risulta ancora più importante poiché rappresenta anche una fonte ottimale e sempre disponibile per l’immunoterapia nella lotta contro il tumore.
La carenza di farmaci altamente efficaci in molte neoplasie ha promosso l’interesse scientifico nello sviluppo di strategie di trattamento alternative. Ad oggi, una delle strategie di cura più all’avanguardia nella lotta ai tumori è rappresentata dall’immunoterapia. Mediante l’immunoterapia cellulare è possibile utilizzare le cellule immunitarie come nuovo promettente strumento contro le neoplasie. Il nostro sistema immunitario ha un ruolo primario nel prevenire la diffusione delle cellule tumorali, ma è anche vero che la maggior parte dei tumori è in grado di eludere la nostra sorveglianza immunitaria.
Solitamente, quando una cellula riconosce di essere stata infettata da un microrganismo patogeno o di aver subìto danni al suo DNA (come succede in caso di trasformazione neoplastica) espone sulla sua superficie delle molecole (antigeni) che vengono riconosciute da cellule del sistema immunitario (linfociti T) innescando una risposta immunitaria volta a distruggere la cellula tumorale stessa. Se però la cellula tumorale, proprio a causa delle mutazioni subìte, riesce ad eludere questo meccanismo, non solo il tumore continuerà a diffondersi senza essere contrastato dal nostro sistema immunitario, ma utilizzerà quest’ultimo a suo favore.
Recentemente è stato sviluppato un metodo alternativo di stimolazione, si tratta di Car-T, acronimo di “chimeric antigen receptor T cell”. La tecnica consiste nel prelievo dei linfociti T del malato, per poterli modificare geneticamente in laboratorio in modo tale che sulla loro superficie esprimano un particolare recettore chiamato CAR. La presenza di CAR ha come effetto un potenziamento dei linfociti che li rende in grado, una volta reinfusi nel malato, di riconoscere e attaccare le cellule tumorali presenti nel sangue e nel midollo, fino ad eliminarle completamente. Le Car-T costituiscono trattamenti cellulari già approvati dalla FDA (Food and Drug Administration) e dall’EMA (European Medicines Agency). Una tecnica potente, sperimentata per la prima volta nel 2012, indicata per il trattamento di alcuni tumori liquidi (leucemia linfoblastica B nei pazienti pediatrici e fino ai 25 anni di età, linfoma diffuso B e linfoma primitivo del mediastino B e due forme aggressive del linfoma non Hodgkin) e che ad oggi è testata per tumori solidi come quelli del fegato, del pancreas, dell’ovaio, il neuroblastoma e il mesotelioma.
Si tratta pertanto di un prodotto autologo che può essere utilizzato solo dallo stesso paziente. Nonostante la comprovata sicurezza delle Car-T, pur essendo armi in grado di cambiare radicalmente il trattamento di alcune forme di tumore, le Car-T non sono totalmente esenti da effetti collaterali; uno degli effetti più diffusi e gravi è la sindrome da rilascio di citochine, un fenomeno in cui vi è un’eccessiva risposta immunitaria che può portare anche alla morte. Non solo, i linfociti T ingegnerizzati riescono bene a combattere le cellule tumorali del sangue ma non funzionano altrettanto bene nei confronti dei tumori solidi. Altro aspetto da non trascurare è che non sempre è possibile prelevare da sangue periferico i linfociti T del paziente per “trasformarli” in Car-T, poiché precedenti chemioterapie, utilizzate per combattere il tumore, li hanno distrutti. Problema, questo, eventualmente aggirabile utilizzando dei linfociti T di un donatore, tale procedura però espone il paziente al rischio di sviluppare la sindrome del trapianto contro l’ospite (graft versus host desease), una condizione in cui le cellule appena reinfuse cominciano ad attaccare indiscriminatamente il corpo del malato.
La ricerca nell’ambito dell’immunoterapia ha visto la recente assegnazione del premio Nobel per la Medicina 2018 a James P. Allison e Tasuku Honjo, scopritori della nuova frontiera CAR-NK, che utilizza le cellule Natural killer (NK) al posto dei linfociti T utilizzati nella terapia CAR-T.
Le cellule Natural Killer (NK), così come i linfociti T, hanno un ruolo importante nell’immunità cellulo-mediata, ma hanno caratteristiche e ruoli differenti. In particolare, i linfociti NK sono delle cellule meno specializzate (risposta immunitaria primaria), ma con un’elevata attività antitumorale e antivirale intrinseca che permette loro di distruggere qualsiasi cellula riconosciuta come estranea. Un’altra differenza tra i due tipi di cellule consiste nel fatto che le NK non hanno il riconoscimento del self, tipico dei linfociti T, e ciò riduce un altro grave effetto collaterale: il graft versus host desease (malattia del trapianto contro l’ospite).
Sono al momento in corso trial clinici per verificare l’efficacia e le eventuali problematiche relative a trattamenti con Car-NK. I primi test, iniziati nel 2016, per verificarne la sicurezza, si sono conclusi positivamente. A questi ne sono seguiti altri nel 2018 in cui sono stati valutati gli effetti delle Car-NK e delle Car-T nel trattamento del tumore all’ovaio, con buoni risultati per entrambe, ma meno effetti collaterali per le prime. Infine in Europa, sempre dal 2018, si sta tentando di trattare il glioblastoma con le Car-NK.
L’utilizzo del sangue cordonale, come fonte di cellule staminali, è notevolmente aumentato rispetto a 30 anni fa, quando sono stati eseguiti i primi trapianti clinici per la cura di linfomi, leucemie e altre patologie immuno-oncologiche.
Studi in letteratura suggeriscono che le proprietà biologiche uniche delle cellule del sangue del cordone ombelicale (UCB), sono in grado di scatenare una maggiore attività antitumorale. Il sangue cordonale è una fonte prontamente disponibile di cellule NK per l’immunoterapia contro le neoplasie, poiché è possibile crioconservarlo presso biobanche accreditate per scongelarlo al momento del bisogno, al fine di ottenere un gran numero di cellule NK in serie altamente funzionali; tale approccio eliminerebbe il problema derivante dalla impossibilità di reperire linfociti T dal sangue periferico del paziente stesso a causa dei precedenti trattamenti chemioterapici. Inoltre, le cellule NK possono essere utilizzate per il trattamento di più di un paziente e per evitare screening e leucoaferesi a pazienti immuno-compromessi.
MolMed, azienda biotecnologica impegnata nello sviluppo di terapie geniche e cellulari, utilizza cellule NK derivate da cellule ematopoietiche staminali presenti nel cordone ombelicale. La prima Car-NK sviluppata da MolMed dovrebbe far parte del primo studio clinico del 2020, partendo dal trattamento dei tumori liquidi, più facili da raggiungere, per poi mirare al trattamento anche dei tumori solidi nel prossimo decennio.
L’approccio utilizzato da MolMed è stato messo a punto da Glycostem, azienda olandese partner di questo progetto, e consiste nel raccogliere il sangue dal cordone ombelicale, da cui, tramite un processo di purificazione, si ottengono cellule ematopoietiche staminali, chiamate CD34+. Le cellule CD34+ vengono geneticamente modificate con molecole Car specifiche per l’antigene tumorale, poi mantenute in contatto con terreni di coltura e citochine che favoriscono l’espansione e il differenziamento in cellule Natural Killer. Alla fine di questo processo, che dura circa un mese, si ottiene, partendo da pochissime cellule staminali molto primitive, una larga popolazione di cellule Car-NK. Attualmente sono diverse le sperimentazioni in corso che testano diversi metodi di moltiplicazione cellulare delle NK da cordone ombelicale.
Considerando che le cellule NK esercitano anche un ruolo nella regolazione della risposta autoimmune (sono correlate a malattie come sclerosi multipla, artrite reumatoide e lupus eritematoso sistemico), avere a disposizione un campione di cellule NK rappresenta un enorme vantaggio. Da questo punto di vista il momento del parto è l’occasione per riuscire a garantire al proprio figlio e ai suoi parenti più stretti una ulteriore opportunità terapeutica futura.
Fonti:
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